LA GRANDE INTER DI HELENIO HERRERA

22.02.2024

Introduzione

Helenio Herrera cambiò il modo di concepire il calcio negli anni '60 ma rivoluzionò soprattutto la concezione della professione calcio. Appena arrivato a Milano proprio nel 1960, artefice dei successi di quella che oggi conosciamo come la Grande Inter, diede una nuova visione del calcio intendendolo proprio come professione. Il Mago curava ogni aspetto dell'allenamento, atletico, tecnico, tattico e mentale. Nei suoi primi anni all'Inter fece affiggere negli spogliatoi delle frasi motivazionali per incentivare i suoi giocatori a dare sempre il massimo e fu inoltre uno dei massimi esponenti del catenaccio insieme all'amico rivale Nereo Rocco ai tempi allenatore del Milan. Il suo palmarès da allenatore contiene tra le altre, 4 campionati spagnoli, tre italiano, due Champions League continuative e una Intercontinentale.

Analisi tattica

Vediamo ora come giocava la sua Inter e come si sviluppa il famoso catenaccio dell'Argentino. Corso era libero di spaziare sul fronte offensivo e agiva quasi da trequartista partendo spesso dalla sinistra andando anche in appoggio a Suarez che agiva invece da centrocampista con il compito di impostare l'azione.

Corso dava anche supporto a Facchetti che agiva da vera ala, avendo tutta la fascia a sua disposizione. Le punte erano Sandro Mazzola e Milani, con il primo chiamato ad allargarsi a sinistra per dialogare con Corso oppure agire nello spazio liberato dai compagni.

La squadra di Herrera prediligeva una costruzione lunga con i difensori che cercavano in avanti Mazzola o Milani, che grazie al fisico e alla tecnica caratteristica, soprattutto di Mazzola, riuscivano a far guadagnare tempo e campo alla propria squadra. Con questo tipo di approccio tattico era dunque importante attaccare la seconda palla e infatti vediamo come venisse cercato spesso Mazzola per tentare di prolungare il pallone verso l'esterno brasiliano Jair. Il supporto in fase difensiva del brasiliano era relativo, infatti dietro di lui giocava Burnich che garantiva la copertura richiesta sulla corsia.

Nella fascia opposta a quella di Jair agiva Facchetti, un giocatore totale, capace di abbinare qualità tecniche e tattiche al suo fisico imponente e ricopriva tutta la fascia sinistra sia in fase offensiva che difensiva. Era capace di difendere al limite della propria area ed allo stesso tempo di comportarsi da ala quando la squadra attaccata. 

In mezzo al campo Luis Suarez era il regista della squadra, giocatore dalle spiccate qualità tecnico-tattiche, sfruttato per la sua bravura nel ribaltare l'azione con pochi passaggi o tentare l'immediata verticalizzazione. Mario Corso, come detto, spazziava su tutto il fronte offensivo da sinistra a destra. Possibile definirlo un trequartista totale in quanto spesso si abbassava quasi in linea con Suarez per dare ulteriore qualità al centrocampo nerazzurro. Oltre che cercare la giocata individuale grazie alle sue capacità tecniche, provava spesso la giocata con il dai e vai.

Il contropiede era certamente un marchio della Grande Inter di Herrera. La squadra anche per il bagaglio tecnico dei giocatori in rosa sembrava essere costruita per questo tipo di gioco, grazie alla velocità e alla tecnica di Mazzola che permettevano di giocare in contropiede. Proprio nei momenti in cui la squadra avversaria si trovava sbilanciata in avanti, l'Inter aveva la consapevolezza che adottando questo tipo di gioco si sarebbero formati in avanti i due contro due o degli uno contro uno con superiorità numeriche.

Un giocatore fondamentale era Armando Picchi per il lavoro che gli veniva richiesto, cioè quello di copertura. Il capitano nerazzurro agiva alle spalle della difesa da vero e proprio libero e con grande senso tattico riusciva a disinnescare tutte quelle situazioni in cui compagni venivano saltati dal diretto avversario oppure quando provavano la giocata con il lancio lungo a scavalcare alla linea difensiva.

L'Inter lavorava già con una zona mista, diversamente dalla maggior parte delle squadre dell'epoca che usavano la marcatura a uomo, ma un giocatore in particolare era l'incaricato alla marcatura ad uomo soprattutto nei confronti del fulcro del gioco avversario cioè Tagnin, mediano di questa squadra che si occupava di rompere il gioco avversario seguendo letteralmente ovunque i giocatori avversari che gli venivano affidati. 

Nella fase di non possesso, la prerogativa di questa Inter era quella di avere delle linee molto corte tra di loro e fare molta densità nella zona della propria area di rigore anche per avere successivamente la capacità di ripartire in contropiede. Questo atteggiamento infatti permetterà alla squadra avversaria di portare molti uomini in avanti, credendo così di avere il controllo del gioco ma in realtà era proprio in questo modo che la squadra guidata da Herrera si preparava a colpire gli avversari con le loro ripartenze. Il famoso catenaccio, termine usato erroneamente in maniera dispregiativa nei confronti di questo stile di gioco, ha nelle sue basi proprio queste linee corte e la densità difensiva evidenziata negli ultimi 20/25 metri, oltre ad una preparazione tattica per non concedere spazi agli avversari.